Quest’estate sono andato in vacanza, come tanti. Un periodo di riposo meritato che è incominciato dal viaggio di andata verso il mare. Anche questa volta, come già successo in passato, ho affrontato il viaggio insieme a persone care tra le quali una persona disabile al 100%. Come dicevo, non è la prima volta. Affrontare un viaggio in auto, poi in nave e alla fine ancora in auto non è cosa semplice; se lo si affronta con un bambino di 18 mesi e con una persona in carrozzina le cose possono diventate decisamente complesse soprattutto se le persone che dovrebbero aiutare ad abbattere i problemi legati a questa condizione non comprendono la situazione o non sono preparate ad affrontarla.
E così ti ritrovi in coda, imbottigliato tra decine di auto sotto il sole per ore solo perché un addetto non vuole rovinare la loro perfetta disposizione sul piazzale e non può concedere quei 50 centimetri che potrebbero permettere alla persona disabile di scendere. Chiaramente tu fai presente che hai a bordo una persona disabile al 100% (e mi chiedo se non avrei fatto meglio a dire che la persona era handicappata o storpia o malata gravemente) e ti viene risposto che il regolamento non prevede deroghe e che comunque poi si vedrà di chiedere a qualcuno. Dopo due ore sotto il sole, salendo sulla nave, scopri che i parcheggi per disabili sono finiti ma che qualcuno provvederà. Alla fine qualcuno provvede, in qualche modo, ma c’è qualcun altro che pensa bene di cominciare a suonare il clacson della propria auto per vedere di accelerare le operazioni. Abitudine questa anche all’arrivo dove il guidatore di un’auto dietro di noi suona con insistenza forse per la paura di arrivare in ritardo e scoprire che si è sciolto il ghiaccio nel cocktail di benvenuto del villaggio… Io non credo mai nella malafede perché mi fa solo arrabbiare, preferisco l’ignoranza e la non preparazione di fronte a qualcosa che non si conosce, la sopporto di più.
Perché nessuno è preparato ad affrontare la disabilità.
Chi si prende cura di una persona con handicap fisici o mentali di qualunque tipo o gravità, non nasce già sapendo cosa fare e come comportarsi ma impara nel momento in cui si trova in quella situazione. Impara a gestire problemi di comunicazione, gli spostamenti tra carrozzina, sedia, letto, auto, le operazioni di igiene, a somministrare le cure domiciliari etc…
Tutte queste cose fuori dall’ordinario, insolite e non comuni si possono apprendere più o meno con facilità e con la pratica quotidiana ma c’è una cosa che andrebbe imparata prima di tutto e che viene nascosta da tutti, a volte anche dal disabile stesso.
Questa cosa è la normalità.
Perché prima di tutto dovremmo cominciare a pensare che il fatto di poter uscire di casa senza barriere o poter andare in vacanza al mare o in montagna o in una città d’arte NON sia un diritto del disabile. Dovremmo cominciare a pensare che sia invece normale poter fare queste cose in qualunque condizione di handicap ci si trovi.
I disabili non hanno diritti particolari perché non sono soggetti particolari ma sono persone con gli stessi diritti di tutte le altre persone.
La vera differenza non sta nel diritto a viaggiare, lavorare o andare in vacanza ma sta nel fatto di avere una serie di problematiche, di difficoltà e di barriere in più rispetto alla maggior parte delle persone. La sfida non è quindi riconoscere loro dei diritti particolari ma proprio il contrario, la sfida deve essere quella di riconoscere la normalità delle piccole, grandi cose di tutti i giorni e riconoscere che esiste tanto lavoro da fare per far si che questa sia veramente una normalità di tutti e per tutti.
Dovrebbe essere normale anche andare dal dentista…ma di questo parliamo un’altra volta.