Da qualche tempo si sente parlare del problema del passaggio generazionale tra chi ormai ha alle spalle decenni di vita lavorativa e chi, nel mondo del lavoro, non ci è ancora entrato. Ultimamente si è fatta strada l’idea di un vero e proprio conflitto nel quale chi dovrebbe smettere di lavorare (mi chiedo chi lo possa stabilire dall’esterno), rimane attaccato all’idea di lavoro e non si arrende all’età che passa e all’idea di passare il testimone. Dall’altra parte il giovane, che ha diritto ad intraprendere l’attività lavorativa, non trova il giusto spazio e non può quindi avere accesso al mondo lavorativo per una fisica mancanza di spazio. Fin qui tutto sembra logico, come logico sembra anche il dibattito/scontro nato attorno alla questione.\r\n
Io però non vedo la questione cosi semplice e logica.
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Perché se è vero che un giovane deve sentire come un diritto quello di trovare la sua strada nel mondo del lavoro, è anche vero che non si può pensare che quel diritto corrisponda in modo automatico alla sostituzione di una persona che quel tipo di lavoro lo svolge da decenni e ha, nel tempo, accumulato un’esperienza e una professionalità che non possono essere trascurate. Se ragioniamo in termini matematici, uno sostituisce uno, è ovvio che tutto funzioni. Ma qui stiamo parlando di PMI, aziende che vivono delle competenze dei singoli dedicate al bene dell’impresa, dove queste competenze vengono acquisite e sviluppate in anni e anni di lavoro sul campo. Sarebbe impensabile l’idea di gestire un conflitto tra vecchia e nuova generazione con la mera sostituzione delle persone senza considerarne le competenze.
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A questo punto il passaggio o ricambio generazionale deve diventare una questione di buon senso (soprattutto pratico). Se capiamo che chi entra nel mondo del lavoro, anche nello stesso settore, è profondamente diverso da chi quel settore e quel mondo sta per lasciarlo, capiamo che non ci può essere competizione o conflitto in quanto si stanno considerando due cose differenti che non possono essere paragonate tra loro.
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Parliamo di passaggio quindi dove, in seguito alla decisione di lasciare, il lavoratore o imprenditore anziano si prende sulle spalle l’ultima missione, quella di gestire l’ingresso della persona più giovane che si mette a disposizione per attingere quanto più possibile dal bagaglio di esperienza e di conoscenza di chi lascia.\r\nGestione del passaggio, in termini psicologici, pratici, economici, tecnici; questo deve essere il punto di partenza.\r\nPensate che non sia così importante o che non toccherà voi e la vostra impresa (famiglia?).Un dato fornito dalla Commissione Europea ci dice che solo un terzo delle aziende sopravvive alla seconda generazione e soltanto il 15% supera la terza.
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Forse è meglio pensarci prima…